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Bossi-Fini che...?

Che ne sappiamo...?

Cosa fare della "Bossi-Fini"?

Spesso si identifica con il l'appellativo "Bossi-Fini" l’insieme delle leggi e procedure che regolano la presenza straniera in Italia. In realtà è una corposa materia che negli anni ha visto ritocchi e integrazioni, talvolta in chiave restrittiva verso lo straniero in dipendenza delle diverse maggioranze parlamentari. La "Bossi-Fini", entrata in vigore nel 2002, costituisce un passaggio significativo dell'impianto originario del 1998 (chiamato "Turco-Napolitano"), mentre interventi successivi, come il cosiddetto "Pacchetto Sicurezza" del 2010, ne hanno irrigidito ulteriormente i contenuti.
Nel seguito si riportano delle note su alcuni dei motivi di revisione dell’attuale normativa su ingressi e permessi, in modo da rendere l’Italia più "accogliente e inclusiva", per usare le parole del Presidente Napolitano.

Per gli scopi di questo preliminare approfondimento utilizzeremo solo brevi note, quasi dei titoli, senza citare riferimenti di legge o casi specifici, e utilizzando una terminologia che non può essere considerata tecnica. Non vogliamo infatti competere con i giuristi e col giornalismo più documentato, ma soddisfare una curiosità non da addetti ai lavori, ma da persone rispettose delle dignità di altre persone in cerca di una speranza nel nostro paese
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  • Abolire il reato di Clandestinità. Il reato di soggiorno illegale, peraltro punibile solo con sanzione pecuniaria, è un fatto che ci distingue. La Corte di Giustizia Europea ha già condannato l’Italia per questo.

  • Concessione del primo permesso di Soggiorno. Se un cosiddetto "decreto flussi" lo consente, si entra in Italia con regolare visto per lavoro, e si prende un primo permesso di soggiorno, se si ha già un contratto di lavoro firmato con un datore di lavoro, che dovrebbe assumere lo straniero "a scatola chiusa". E’ assurdo: così si incoraggia l’ingresso clandestino, lo straniero entra nella speranza di trovare un lavoro in nero e di sanare la posizione con un’assunzione in occasione di una regolarizzazione di lavoro straniero. Bisogna consentire un ingresso temporaneo per "ricerca lavoro", cosa che renderebbe più facile il controllo dei flussi e dei movimenti interni.

  • Revisione del sistema di regolazione dei flussi di ingresso. Solo per decreto è possibile "riaprire" le frontiere all’ingresso di nuovi lavoratori. E’ un meccanismo burocratico che si attiva con tempi inadatti alle dinamiche economiche d’oggi. Inoltre la pratica di ingresso può durare 8-12 mesi e il lavoratore perde il lavoro se il datore rinuncia all’assunzione.

  • Rinnovo Permesso di Soggiorno per Lavoro. E' oggi una procedura troppo laboriosa e a rischio di fallimento per la rigidità dei requisiti. Se poi uno straniero perde il lavoro ed ha il permesso in scadenza, ha 12 mesi di tempo per trovarne uno (con contratto e contributi) altrimenti diventa irregolare, insieme alla sua famiglia, se ne ha una a suo carico. Sono persone che vivono in un clima di insicurezza e sottoposte sovente a sfruttamento, false promesse e ricatto da parte di datori disonesti.

  • Status di Rifugiato e Richiedente Asilo. La burocrazia risponde con tempi ancora lunghissimi per acquisire tutte le informazioni necessarie a concedere un permesso (verifica sul luogo di provenienza e identità del richiedente). Il richiedente asilo non può svolgere lavoro per i primi 6 mesi dalla domanda di asilo.

  • Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE). Irregolari e clandestini vi possono essere tenuti in regime di detenzione fino a 18 mesi, in attesa di accertamenti su identità e provenienza. Sono vere prigioni in cui viene condotto anche chi, in fondo, non ha commesso reati e che soffre i ritardi della burocrazia nostrana o del paese di provenienza. Poi, costano allo Stato: c'è un mondo di profitto sulla gestione di questa specie di lager (a 1.650 euro al mese/persona, stima del 2008), che sono pure fuori da ogni controllo dell'informazione.

  • Cambiare le norme «che infliggono sanzioni a chi presta assistenza in mare». E’ l’Unione Europea a chiederlo, proprio con le parole che sono tra virgolette, anche se non risultano ancora casi giudiziari in tal senso.

  • Revisione delle operazioni di respingimento in mare. E' una norma che consente alle forze militari dislocate in mare di farsi strumento di brutalità di governi ostili ad una politica di accoglienza. A questo spirito va ricondotto l'accordo Italia-Libia del 2007, che consente ancora una vera propria riconsegna dei "respinti" alle forse di polizia di un paese di cui sono stati documentate pratiche disumane di detenzione dei migranti.

  • In generale, la normativa è carente in materia di efficace politica di integrazione, di stabilizzazione degli immigrati e di protezione sociale alla disoccupazione di stampo straniero e ai minori di genitori irregolari o clandestini.

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